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Diario Innocenza Febbraio 2009


di HeleneHoullier
17.11.2024    |    92    |    1 8.0
"Hélène dovette provare non poca vergogna, i due uomini che erano lì con loro, avrebbero potuto vedere tutto quanto, e la cosa le causava un indicibile..."
Trentatreesimo episodio

“Perché non ti sei cambiata?” fu la prima cosa che le disse Adrian, mentre si sfilava lentamente i suoi guanti di plastica trasparenti. Li gettò via nel secchio della cucina, mentre Hélène intanto non rispose, restandosene immobile sull’uscio del corridoio. Era l’una e mezza di notte, il locale era oramai buio e silenzioso; ad attenderli era rimasto il solo Gheorghe, ed il signor Mariano che chiudeva sempre le serrande a metà lungo la strada, e dormicchiava nel suo studio guardando un noioso programma di politica nel suo piccolo televisore.
“Non avevi qualcosa di più elegante per me ?!?”, insistette il cuoco, trascinandosi via Hélène per una mano, attraverso i tavoli con le sedie rovesciate ed i pesanti fusti della birra accatastati vicino all’ingresso. La cameriera era agitata e terribilmente ansiosa quella sera, sapeva che Adrian avrebbe voluto concludere, in ogni caso non l’avrebbe lasciata andare via con un semplice bacio della buonanotte; in preda ad uno stato di grande confusione, nemmeno aveva provato a levarsi gli abiti da lavoro, cosicché ella portava ancora indosso la sua camicetta bianca, e la gonna scura di sempre.
Si ritrovarono in piedi alla fermata dell’autobus, mano nella mano, con Gheorghe immobile accanto a loro: offriva in continuazione sigarette al suo collega di lavoro, senza curarsi più di tanto di Hélène che era nel mezzo, avvolta nella sua giacca di colore blu scuro.
L’autobus notturno che passava per la stazione era sempre pieno di ambulanti e di senzatetto rumorosi e maleodoranti. Hélène di norma saliva e restava in piedi dalle parti dell’autista; ma quella sera, essendo accompagnata da due uomini, accettò di entrare dalla porta posteriore, e si sedette in mezzo a loro nella fila di posti sistemata sul fondo.
Lì all’improvviso notò un giovane ragazzo dalla pelle scura, che la sbirciava, fissandola senza davvero alcun ritegno in mezzo alle gambe leggermente schiuse; sollevò lo sguardo ed incrociò i suoi occhi luccicanti e sanguigni, e subito lo riconobbe: era Samir, il ragazzetto africano del negozio di frutta e verdura, che Hélène aveva frequentato ai tempi oramai lontani in cui abitava nel Convitto delle suore.
Anche lui la riconobbe, e le si fece incontro brancolando in mezzo all’autobus; era piuttosto ubriaco e puzzolente. Le si fece dinanzi, e giunto in fondo le protese una mano chiamandola in modo esplicito, tanto che tutti quanti lo poterono udire: “…Mademoiselle!”. Adrian allora si sollevò in piedi, e lo respinse in maniera brutale, facendolo rotolare indietro fino al punto da cui s’era inizialmente mosso. Quello fece nuovamente per riavvicinarsi, ma si capiva come fosse davvero malmesso; allorché fu gioco facile per il cuoco romeno, allontanarlo nuovamente con un forte calcione nel sedere, fino a vederlo ruzzolare quasi in terra.
Discese dall’autobus alla fermata successiva, subito dopo l’incrocio, e dalla strada ancora fissava Hélène con quei suoi occhi sgranati, tutti lucidi e bagnati.
Quando l’autobus raggiunse la grande piazza in fondo alla salita, Hélène si sollevò improvvisamente in piedi, e guardando Adrian negli occhi, con dolcezza gli disse: “Ecco io adesso devo scendere …”. Non si capiva se fosse un invito per lui ad accompagnarla, ma il cuoco romeno aveva evidentemente ben altre intenzioni, e le idee davvero molto chiare. La trattenne per un braccio, stringendola molto forte, e trascinandola goffamente indietro fino a farla sedere nuovamente, le disse: “Dove credi di andare a quest’ora?!? …ti porto io a dormire bella”. “Non posso! …domattina devo andare all’Università …” ribatté Hélène, con un accenno di vero disagio. Aveva compreso come quegli non intendesse semplicemente accompagnarla a casa, ma volesse condurla con sé in qualche altro luogo. La ragazzotta prese a tremare tutta, e guardando nuovamente Adrian dritto negli occhi, lo implorò: “…ti scongiuro … dove vuoi portarmi?!?”.
Quegli disse qualcosa nella sua lingua a Gheorghe, che Hélène non comprese; dopodiché si rivolse a quest’ultima e le sussurrò nell’orecchio: “Ti piace la pensione da Antonella?”, e si mise a ridere bofonchiando.
Era uno squallido albergo a ore, ed il cuoco non si diede pena di pagarne più di un paio, mentre tenendo sempre Hélène ferma per un braccio, la poteva sentire tremare tutta quanta dalla testa ai piedi. Gheorghe se ne era andato da alcuni minuti, si era separato da loro al capolinea dell’autobus di fronte alla stazione.
“Cosa vuoi farmi?” domandò Hélène mentre stringendo il corrimano, si apprestava barcollando leggermente a salire la prima mezza rampa di scale; “indovina un po’… ?!?” la derise Adrian, muovendosi rapidamente alle sue spalle, e le mollò un simpatico sculaccione sul sedere.
Quella continuò a salire, ed Adrian alle sue spalle gliene diede un altro, facendola letteralmente sobbalzare. Quando furono di fronte alla porta della stanza numero nove, Hélène era già vergognosamente bagnata fradicia, e non riusciva a capire quanta fosse in lei la paura, o piuttosto il desiderio più sordido, di venire posseduta per la prima volta.
Giunti infine dentro alla stanza, buia e disadorna, Adrian sospinse Hélène sul letto, ed in ultimo si sfilò via il piumone di dosso, ordinandole: “Io vado a farmi una doccia … tu intanto spogliati …”.
Era letteralmente atterrita e spaventata; se nell’atto di salire le scale ella s’era persino eccitata suo malgrado, adesso invece quello che Hélène poteva provare, era terrore autentico, un tremore lungo la schiena fin giù alle caviglie, che la teneva del tutto immobilizzata, seduta ferma sul letto.
Non si spogliò né fece nulla, mentre l’orologio segnava le due e un quarto, e l’indomani la lezione di Storia del Diritto sarebbe cominciata alle nove in punto. Sentiva le cosce che le scoppiavano, dentro a quel paio di calze contenitive tanto spesse, e l’elastico intorno alla vita che quasi la soffocava.
Finalmente Adrian uscì dal bagno, con le sole mutande indosso: aveva un fisico snello e nodoso, con una discreta peluria sul petto; la massa presente all’interno dello slip lasciava davvero poco spazio all’immaginazione. “Che cosa hai fatto tutto questo tempo … sei ancora vestita?!?”, fece lui non nascondendo una certa rabbia ed impazienza; Hélène non trovò nulla di meglio da rispondere, che sussurrare tremando tutta quanta: “… ho paura…”.
Allorché Adrian ristette per un istante, guardandola in basso come faceva sempre tutte le volte: “Vuoi dirmi che non l’hai ancora fatto … che sei vergine?”, e scoppiò a ridere in una maniera davvero irrispettosa.
Hélène non rispose, allorché il cuoco capì di dover prendere interamente il comando delle operazioni; accese una lampadina vicino al letto e spense le luci della stanza, dopodiché si rassettò le mutande sul davanti, come a volersi risvegliare da un certo torpore; poi infine guardando Hélène negli occhi, le ordinò: “In piedi, tirati su la gonna …”.
Quella obbedì, ma era davvero completamente terrorizzata; vennero fuori le calze intere contenitive, di color carne, che erano spesse ed elasticizzate all’altezza del bacino; al disotto, si intravedeva a malapena, una grossa mutanda di pizzo bianco, che la copriva per intero sul davanti, come un largo triangolo di stoffa che dall’inguine saliva su fino alla vita.
Quegli allora con un balzo le fu addosso, e cercando nervosamente l’elastico delle calze, con un unico gesto – quasi doloroso per quanto fu perentorio – gliele tirò giù, scoprendole per intero i fianchi ed il monte di Venere. Gliele lasciò all’altezza di metà coscia, dopodiché le ruotò i fianchi facendola voltare.
Hélène era oramai vinta e non faceva nulla per opporsi; si lasciò girare di spalle muovendo alcuni timidi passetti sulle sue piccole scarpette nere, e si ritrovò a quel punto con lo sguardo rivolto verso il letto, le mani tremolanti che sorreggevano la gonna, ed i glutei bianchi miseramente scoperti, riparati unicamente da un ridicolo filino bianco nel mezzo, rivolti verso Adrian dietro di lei.
Quello fu il momento in cui tutto precipitò; Hélène si ritrovò ambedue le mani del cuoco, nerborute e calde, immerse nella carne abbondante e nella cellulite delle sue natiche molli. Avrebbe voluto liberarsi, ma quella presa era più forte di una catena, la teneva immobilizzata con le dita che la sprofondavano dappertutto; nel frattempo era arrivata puntuale e decisa, una erezione di quelle buone, che per sua fortuna Hélène non poté vedere al primo istante.
Con le calze intere strette giù attorno alle cosce, le mani del cuoco che la tastavano dappertutto, e la gonna sollevata, Hélène sentì nuovamente una fitta dentro lo stomaco, e di lì giù fin dentro la vagina. Era bagnata di nuovo, e non capiva più, se fosse la paura a prevalere, oppure il desiderio di farlo.
Adrian a quel punto la fece voltare e le ordinò di sedersi sul letto, dicendole: “Basta con questo culo, mi hai annoiato … adesso me lo devi prendere in mano!”.
Ancora una volta la ragazzotta belga obbedì, e mentre si disponeva seduta sul letto, con le calze sempre abbassate a metà delle cosce, tirò giù con dolcezza le mutande del cuoco, fino a scoprirgli per intero il pene, che era tozzo, rigonfio di vene e già scoperto in cima. Lo afferrò in mezzo, senza sapere esattamente cosa fare, era vistosamente inesperta ed incredibilmente imbarazzata.
Non aveva mai preso in mano un uccello in vita sua, ed il primo che le era dato in sorte era piccolo ma tutto tosto, un tondo mattarello da cucina piuttosto scuro e consistente.
Adrian le spostò la mano con una certa rabbia, aveva compreso quanto Hélène fosse completamente impacciata ed incapace di toccarlo; la guardò con le sopracciglia arcuate e le disse: “Sei davvero scarsa, guarda come si fa …”; ed afferrandoselo per bene, iniziò ad aprirlo e chiuderlo impulsivamente, rendendolo ancor più sodo e tirato, e soprattutto bagnandosi in modo visibile sulla punta.
Hélène allora lo prese a sua volta, aveva capito come si doveva comportare, ed iniziò a fare altrettanto, aprendolo e chiudendolo in modo deciso; ma si muoveva un po’ troppo a scatti, per cui piuttosto che di piacere, quella mano un po’ troppo maldestra lo stava riempendo di fastidio e di disagio.
Allora egli decise che era il caso di piantarla, e le tolse nuovamente la mano senza alcuna possibilità d’appello, intimandole: “Spero che anche tu sia già bagnata … perché non ho tanto tempo da perdere con te …”.
Ed in realtà Hélène era completamente fradicia, al punto che se ne poteva avvertire persino l’odore, della sua vagina sudata e umida. Le abbassò ulteriormente le calze, sotto le ginocchia, e con un gesto rapido e deciso le tirò giù le mutandine, che raggiunsero così le calze in basso, lasciandole il ventre ed il pube completamente scoperti.
Dopodiché si inginocchiò tra le sue gambe, ed afferrandola per le caviglie gliele aprì all’improvviso, spalancandole come si spalanca una finestra, in una mattina d’estate.
Fu un gesto talmente deciso e violento, che le dure calze contenitive si strapparono nel mezzo, lasciandole unicamente una banda di tessuto lunga e sfilacciata, ad impedirle di allargare le cosce ulteriormente. La mutandina aveva l’elastico lento, e non le impedì affatto il movimento.
Era seduta sul letto, con la gonna sollevata attorno ai fianchi, le mutandine calate e le calze mezze divelte; Adrian le fu inginocchiato dinanzi, e finalmente iniziò a sfiorarle la folta peluria nera dell’inguine, con la testa del membro duro e bagnato. Hélène provava invano a respingerlo tenendogli ambedue le mani sul petto, sui peli scuri e irti che egli aveva sul davanti. Ma era una resistenza debole per nulla convinta, era come se intendesse unicamente ritardare la sua capitolazione, la sua fine.
Con un ulteriore gesto, ancor più forte ed imperioso, Adrian le divelse completamente quel che restava delle sue calze nel mezzo, divaricandole definitivamente le cosce; poi le tirò via la mutandina dai piedi, armeggiando con fare inelegante e infastidito finché non gliela tolse via del tutto.
A quel punto poté finalmente appoggiarle il pene, che nel frattempo era diventato massiccio come un grosso ramo d’albero, in mezzo alle labbra socchiuse della vagina.
Hélène abbassò lo sguardo, ed improvvisamente con un riflesso istintivo e del tutto inatteso, iniziò a piangere sommessamente; aveva paura, ma non voleva dirlo.
Adrian non se ne curava affatto, ma lentamente e gradualmente, prendeva possesso sempre di più, dello spazio morbido chiuso tra le due labbra delicate, un poco alla volta, in attesa di incontrare il muro innocente della sua verginità. Hélène piangeva con le lacrime che le rigavano il viso, ma Adrian era del tutto noncurante, rasentando quasi la maleducazione.
Ad un certo punto però egli si rese conto che la ragazza non era per nulla bagnata, e che l’operazione sarebbe stata senz’altro molto complicata; allora le prese i capelli sollevandole il viso, e guardandola negli occhi con quel suo sguardo duro e aggressivo, le disse: “Adesso apri bene le cosce e statti zitta e muta… se non vuoi che ti apra pure il culo …”.
Il viso di Hélène era bianco e delicato; se solamente Adrian fosse stato un personaggio normale, e non un uomo grezzo e inelegante, avrebbe anche potuto innamorarsi di lei in quell’istante; era tenera ed innocente come una bambina, con le gambe divaricate ed i collant divelsi che le erano rimasti sotto alle ginocchia, come due miseri calzettoni trasparenti.
E la vagina nel mezzo, schiusa come una bocca morbida, adornata dalla sua peluria nera e soffice, era finalmente e nuovamente bagnata.
Allora appoggiò rapidamente la testa del pene, dopo averlo schiuso di nuovo e masturbato per qualche piccolo istante, e fu ad un passo dalla sua membrana sottile. Dopodiché fece un piccolo movimento indietro, e poi infine piegandosi in avanti, con un unico colpo forte e deciso, la sprofondò.

Hélène fu subito un lago di sangue, che le colava sulle lenzuola del letto e sui polpacci avvolti da quel che restava, delle sue calze color carne. Adrian le montò sopra, con il ventre appoggiato alla pancia di lei, ed iniziò a spingerla sempre più a fondo, senza alcuna pietà per il suo dolore e per tutto il sangue che le stava cadendo giù.
Hélène a quel punto provò a respingerlo con la forza, adoperando anche le unghie nel tentativo di farlo allontanare; finì anche per afferrargli i capelli, tirandolo via per la testa; ma quello andava avanti imperterrito, sbattendola in mezzo alle gambe con il suo mattarello solido e rigorosamente compatto.
Prese a gemere come una cagna, ululando al ritmo di quelle fitte lunghe e dolorose, via via sempre più lente, finché non fu vinta ancora una volta, ed iniziò ad avvertire il brivido salirle lungo la schiena: era l’orgasmo in arrivo, inatteso perché preceduto da quei minuti interminabili di dolore.
Ma Adrian glielo negò, estraendo il pene che era un nerbo interamente ricoperto di sangue, rosso come un pezzo di carne cruda. Glielo appoggiò sulla pancia, laddove la gonna nera già la ricopriva con la sua ombra; poi riprese a masturbarsi, come se tutti quei minuti ininterrotti di sesso non fossero stati ancora sufficienti a procurargli il piacere di cui egli aveva bisogno. Ed infine prese a schizzare fuori tantissimo sperma, sulla pancia e sulla veste rigirata di Hélène, inondandola tutta quanta, per alcuni secondi davvero lunghi ed interminabili. Le prese la mano e la costrinse a completare l’opera, imponendole di continuare a masturbarlo, tutto sporco com’era e fino all’ultima goccia, lasciandolo vuoto ed esausto.

La abbandonò così riversa sul letto, con le cosce ancora aperte divaricate, ed un lago di sangue in mezzo, ed il copriletto di lanetta grigia completamente imbrattato. Hélène aveva ripreso a piangere, e si teneva una mano sul viso mentre con l’altra, quella che aveva adoperato per masturbare Adrian, provava invano a levarsi tutto lo sperma appiccicoso di dosso. Piangeva e singhiozzava, anche se non riusciva a capire se quelle lacrime le venissero fuori per causa del dolore fisico e dell’abuso che ella aveva subito, o per l’emozione di essere divenuta finalmente una donna.
Quando Adrian uscì dal bagno, era nuovamente rivestito, e tirandola su per un braccio la costrinse ad assumere una posizione seduta sul letto; le portò direttamente un rotolo intero di carta igienica, invitandola a pulirsi tra le gambe per quanto le fosse possibile. La ragazzotta avrebbe desiderato almeno una parola di conforto, una tenera carezza; invece, tutto quello che il cuoco riuscì a dirle, fu un rude e scortese invito a fare in fretta: “Andiamo bellezza, mica possiamo passare la notte qui …”.
La prese nuovamente per un braccio facendola alzare, e Hélène tenendosi una mano aperta a nascondere timidamente il pube, raccolse con l’altra il suo paio di mutandine che il cuoco le aveva sfilato di dosso; infine tenendosi sempre una mano sul davanti, e l’altra, in cui stringeva il suo slippino sul didietro, corse via sculettando fin dentro il bagno. Quello la guardò mentre la ragazzotta si allontanava, e si rese conto che era davvero piuttosto grossa, molto di più di quanto si sarebbe detto vedendola da vestita.
Ritrovò il cuoco che fumava seduto alla scrivania, non nascondeva una certa impazienza; discesero le scale senza parlare, e quando furono finalmente nel piazzale antistante la stazione, erano già passate le quattro.
Adrian mise Hélène sul suo autobus, lo stesso dell’andata, e la abbandonò lì senza attendere nemmeno per un minuto. Si fece dare da lei, il numero del telefono, pur dicendole che non l’avrebbe affatto chiamata durante il giorno.


Trentaquattresimo episodio

Non lo aveva mai fatto, di dormire nuda. Ma quella notte si sentiva sporca, tremendamente sporca e abusata; non avrebbe indossato nulla sotto le lenzuola, quasi come fosse un’espiazione, come se dovesse purificarsi.
La vagina le faceva ancora piuttosto male, era stata aperta e dilatata, e spinta in fondo per diversi minuti.
Hélène non dormì quasi nulla, e quando la sveglia suonò dopo meno di tre ore di inutili tentativi, nel vano e ostinato proposito di addormentarsi, ella poté avvertire benissimo di essersi ammalata.
Avvisò Paula, che nel frattempo stava facendo la colazione, e quella guardandola con la solita espressione giocosa e furba, le disse: “Ti ha fatto ammalare eh …”, e si mise a ridere.
L’avevano sentita rientrare, erano forse le quattro e mezza, e la cosa non era certamente passata inosservata; stranamente Chiara quella mattina appariva piuttosto scontrosa e fredda, ma Hélène non ci mise molto a concludere, che doveva essere stato forse Marco a riferirle della reazione sconsiderata di Adrian, la sera precedente al locale.
Se ne stette a casa da sola tutto il tempo, e quando arrivò il primo pomeriggio, decise infine di telefonare alla signora Nadia, comunicandole che non sarebbe andata al lavoro quella sera. Non riusciva a togliersi quell’odore di dosso, il seme bollente con cui era stata violata. E mentre si asciugava dopo l’ennesima doccia, poteva vedersi benissimo nello specchio, grassa e deforme, e per giunta pure immolata e svergognata; era una sensazione davvero spiacevole.
Adrian non la chiamò neppure alla sera, pur non avendola veduta sul luogo di lavoro; fu invece stranamente la sua collega Veronica a telefonarle, intorno alle sette e mezza, non nascondendole una certa apprensione: “Che cosa ti ha fatto?”; sembrava sinceramente preoccupata per lei.
Seduta a tavola assieme a Chiara e Paula, Hélène poteva sentire ancora la massa di quell’oggetto duro e compatto, infilato tra le gambe; non vedeva l’ora che quella giornata ricolma di ossessioni le voltasse finalmente le spalle, contando di stare meglio la mattina dell’indomani. Mangiò la sua minestrina senza aggiungere null’altro, e concluse il tutto con una camomilla tiepida senza zucchero.
Il sabato era una bellissima giornata di sole; Chiara era uscita a spasso con Marco, e Paula andava studiando per un esame, che ella avrebbe dovuto sostenere entro una decina di giorni. Adrian continuava a non chiamarla, e Hélène provava nel suo intimo, un profondo senso di tristezza e di solitudine; non sapeva se avrebbe dovuto continuare a considerare, quel cuoco romeno, come una specie di suo amante o addirittura di suo fidanzato; o se avrebbe piuttosto dovuto attrezzarsi fin da subito, per poterlo dimenticare.
Dinanzi alle ripetute ed insistite domande di Paula durante la sera precedente, Hélène era restata muta come una statua di gesso; ma poi alla mattina dell’indomani, aveva abbandonato le sue difese, confidando alla pettegola coinquilina argentina tutto quanto; e prendendosi pure un simpatico pizzicotto sul seno, con il riconoscimento di essere finalmente diventata una donna come tutte le altre.
Indossò le calze autoreggenti, sentiva che il timore era in buona parte passato; la mutandina nera le avvolse i fianchi lasciandola libera sul didietro, laddove la stoffa delicata della gonna cadeva giù stringendole il fondoschiena per bene.
Fece il suo ingresso nel locale già vestita da cameriera, e non poté ignorare gli sguardi vivaci e curiosi delle altre ragazze, ed il ghigno sadico ed anche velatamente minaccioso della signora Nadia. Tutte quante sapevano che era uscita insieme al cuoco la sera del giovedì, e sembravano volerlo quasi sottolineare con le loro occhiate ammiccanti, i loro sorrisi eloquenti ed ironici.
Entrò in cucina e subito fu accolta da Adrian con incredibile freddezza. Fu un attimo breve ma interminabile per Hélène, che si era preparata per quell’istante fin dalla mattina; quegli la salutò in maniera rapida e disinteressata, continuando a tagliare la carne e a scherzare con Gheorghe come se davvero nulla fosse.
Sarebbe stata una serata terribilmente difficile per Hélène: scrutata da tutti, ma ignorata dal cuoco romeno che le aveva tolto la verginità solamente due giorni addietro; si sentiva davvero presa in giro e umiliata. Servì i tre tavoli più piccoli nella sala centrale, ed ogni volta che entrava in cucina provava una fitta dentro allo stomaco; ma quegli nemmeno le corrispondeva con un cenno fugace, era semplicemente come se tra di loro non fosse accaduto davvero nulla.
Si ritirò in bagno per fare la pipì, e mentre poggiava i glutei bianchi e molli sopra alla tazza gelata, sentiva le gambe tremarle sotto alle ginocchia: avrebbe voluto parlare con colui che la aveva fatta sua in modo così insulso ed inaudito, senza nessun amore e senza davvero alcuna poesia.
Decise così di attendere fino alla fine, ma mentre una ad una le cameriere si rivestivano ed abbandonavano il locale, Hélène non resistette oltre, sentiva gli occhi della signora Nadia e degli altri camerieri maschi che la scrutavano, come una povera bambina sedotta e abbandonata.
Salì allora sul suo autobus senza attendere la chiusura, non aveva nemmeno portato con sé il ricambio; quando poi fu giunta vicino casa, lungo la discesa che percorreva al buio ogni volta con un certo timore, sentì all’improvviso il suo telefono squillare.
Aprì nervosamente la borsetta, era l’una e mezza di notte e l’intuito le diceva chiaramente, che non poteva essere altri che lui. Rispose tutta trafelata, con il solito “oui” sempre così inappropriato sia per l’orario, che per il suo interlocutore.
Quegli l’aggredì verbalmente, esclamando: “Dove cavolo pensi di andare senza di me eh? …bella troia che non sei altro”. Fu un’autentica doccia gelata, giammai Hélène si sarebbe aspettata di venire trattata a quel modo.
Poi senza attendere la sua replica egli riprese: “Ti ho vista in bagno … come ti sei acconciata stasera … dimmi dove cavolo devi andare vestita così!”.
L’aveva spiata ancora una volta, e Hélène non se ne era resa per niente conto; abbozzò allora una timida risposta, biascicando le parole a bassissima voce, mentre scivolava giù lentamente lungo la strada: “…Ma … ma non mi hai nemmeno salutata questa sera … cosa vuoi adesso da me …”.
“Senti bambola …” riprese Adrian, senza attendere oltre; “Questa sera non ti ho filata perché ho altro da fare hai capito…” e concluse: “Ma domani sera mettiti bella in tiro come oggi, ti porto io a ballare bambola”.
Attaccò il telefono, mentre già era giunta all’incrocio della strada; si sentiva terribilmente spaventata e confusa. In pochi istanti fu vicino al portone di casa, e di lì notò una piccola macchina a due posti accostata lungo il marciapiede: con una certa sorpresa, al suo interno intravide proprio Chiara, con i suoi inconfondibili capelli biondi, che parlava animosamente con Costanzo.
L’indomani Hélène si recò nuovamente al mercato, ancora una volta non aveva dormito quasi nulla, ed era perennemente agitata e turbata. Ma sapeva benissimo che quella sera non sarebbe sfuggita alle grinfie del cuoco romeno, ed al solo pensiero di dover replicare il sordido finale del passato giovedì, provava un sentimento indefinibile, di paura ma anche di irresistibile attrazione.
Indossare un reggicalze non faceva assolutamente per lei, pensò Hélène mentre ne rimirava un paio, tutti sporchi e stropicciati, pescati dalla cesta dell’intimo usato e squallido, nella bancarella maggiormente provvista; invece trovò un bel paio di collant autoreggenti neri, con un fascione scuro in cima, e la righina su tutto il lato posteriore. Le piacque anche la mutandina color carne, piuttosto sottile sul davanti, ed invisibile sul fondoschiena: le ricordava quella che tanti anni addietro le aveva regalato Edina, per la sua festa di compleanno.
Prese anche un balconcino nero che prometteva meraviglie col suo seno, che non era troppo grande, ma morbido abbastanza da poter essere agevolmente stretto e sollevato.
Spese un po’ di soldi, ma quando alla sera giunse il momento di recarsi al locale, si sentiva forse per la prima volta in vita sua, bella ed attraente; percorse il tratto in salita che la portava al suo luogo di lavoro, sotto una fitta pioggia battente, riparandosi con un piccolo ombrello nero. Con le cosce nude sotto alla gonna, che si strofinavano di continuo.


Trentacinquesimo episodio

Come annunciato e come abbondantemente atteso, quella sera Adrian aveva chiaramente l’intenzione di portarsela a letto. Hélène lo intuì immediatamente quando lo vide di soppiatto dentro la cucina; aveva l’occhio vivace e scuro, sembrava già piuttosto caldo e carico di desiderio.
Glielo fece intendere esplicitamente, parlandole sottovoce, senza farsi sentire da Gheorghe che nel frattempo stava prendendo un ordine da Rosaleen.
“Stanotte verrai ospite a casa mia; ti farò ballare sul serio…”.
Hélène fu subito, ed inopinatamente, tutta fradicia in mezzo alle gambe, in maniera assurda. Dovette chiudersi in bagno e provare a ripulirsi con la carta igienica, senza però risolvere in pieno la faccenda; continuava infatti a bagnarsi di tanto in quanto, e non riusciva a smettere di eccitarsi al solo pensiero di quello che l’attendeva.
Non le era mai accaduto di sentirsi così, in vita sua: aveva il ventre rigonfio di liquidi, il monte di Venere perennemente umido, e di tanto in quanto delle profondissime scosse, di autentica voluttà; si sentiva veramente come una femmina animale travolta dai calori dell’accoppiamento, e la primavera non era nemmeno ancora giunta al suo inizio.
Girava tra i tavoli con la testa persa tra le nuvole; e commise anche un paio di stupidi errori verso alcuni clienti, ma senza serie conseguenze per sua fortuna; la signora Nadia, infatti, non se ne rese nemmeno conto.
Passarono cinque ore, durissime e quasi interminabili, e per almeno altre due volte la ragazzotta belga dovette infilarsi nel bagno, nel tentativo di ripulirsi l’umido che aveva tra le cosce e che l’accompagnava dall’inizio della serata.
Mentre il tempo trascorreva, un sentimento di indicibile vergogna iniziava ad affacciarsi nella sua testa, dapprima timidamente e sommessamente, ma poi in modo sempre più marcato ed insistito; era come un severo richiamo alla disciplina e all’amor proprio. Adrian le notò i seni sotto alla camicia bianca: era l’effetto del balconcino, che a quanto pare faceva assai bene il suo dovere; quella sera, infatti, la fissava spesso e volentieri sul davanti, tralasciando la metà inferiore cui era oramai abituato.
E quella sera Hélène ricevette per la prima volta una timida proposta, un invito galante da parte di un uomo di mezza età grigio e stempiato e per nulla attraente, che se ne stava seduto tutto da solo nel tavolo in fondo alla sala: e la rifiutò con visibile stupore e senza nemmeno tanta cortesia.
Si rese conto che era il seno ad attrarre di molto gli uomini, di tutte le età e di ogni specie; per tutti quegli anni ella non aveva mai pensato a questo aspetto, ma in quel momento mentre per una volta ancora era seduta sulla tazza nel tentativo di pulirsi, Hélène decise solennemente, che non si sarebbe mai più separata dal suo prezioso balconcino.
Arrivò finalmente l’una, e Hélène preferì attendere il suo cuoco nel corridoio senza cambiarsi; durante l’attesa fu interrogata dalla signora Nadia, col suo consueto atteggiamento severo ed inquisitorio: la coppia di proprietari non vedeva affatto di buon grado quella loro relazione, e Hélène arrivò a comprendere, come vi fosse il serio rischio che ciò potesse anche compromettere il suo posto di lavoro, se la cosa fosse andata avanti a lungo.
Fuori dal locale, oltre la saracinesca mezza abbassata, un misterioso amico di Adrian, di nome Jan, era venuto a prenderli; li attendeva dentro ad un’automobile bassa e squadrata vecchia di almeno trent’anni. Sulle prime Hélène provò un discreto spavento nell’osservare la sagoma scura dell’uomo immobile dietro il vetro, seduto al posto di guida. Poi, una volta entrata nella macchina sul sedile posteriore, tenuta per mano, notò come quegli fosse piuttosto bassino e buffo, sembrava come un nano tutto timido ed accigliato.
Adrian le mise subito una mano sulla coscia, senza attendere nemmeno che Jan mettesse in moto; mentre Gheorghe si era accomodato sul sedile davanti accendendosi una sigaretta.
Hélène dovette provare non poca vergogna, i due uomini che erano lì con loro, avrebbero potuto vedere tutto quanto, e la cosa le causava un indicibile imbarazzo ed un senso immane di fastidio; fece allora leggermente per scostare quella mano, ma come tutta risposta Adrian le afferrò con decisione l’altra coscia, quella sulla destra, spingendosi fin sotto alla gonna, dove l’elastico scuro del collant terminava stringendosi nella sua pelle bianca e indifesa.
Hélène emise un sospiro, e nel frattempo poté scorgere in modo nitido, l’occhio fisso e curioso dell’uomo seduto al posto di guida, che guardava tutta la scena, mentre l’automobile era sempre ferma col motore acceso; in quell’istante Adrian le disse nell’orecchio: “… sei calda come una cagna”, facendola letteralmente sussultare. Finalmente la vettura si mosse lentamente, con qualche rumore sinistro, imboccando la discesa fino al successivo incrocio, dove poi voltò sulla destra nella direzione della stazione; fu un itinerario non breve, in cui il cuoco si spinse fino a sfiorarle le mutandine sotto alla gonna, trovandola già completamente bagnata; le disse allora: “… hai voglia di prenderlo … stasera ti do io una bella lezione”, facendola sprofondare nel baratro della vergogna più assoluta.
Gheorghe discese alla fermata dei pullman, con l’ennesima sigaretta stretta tra le dita, ed incrociò anche egli lo sguardo di Hélène. Ripresero la strada lungo il vialone immenso orientato in direzione est, infilandosi infine in un rivolo di pertugi a senso unico, al punto che Hélène dovette intuire come fossero oramai giunti in prossimità della loro destinazione.
Jan abbandonò la vecchia automobile posteggiata dinanzi ad un bidone dell’immondizia, e li seguì mentre mano nella mano, Adrian e Hélène camminavano lungo il marciapiede buio e sporco; in quell’istante la ragazzotta belga trasalì: l’amico del cuoco romeno sarebbe salito su a casa con loro.
Aprì il portone del palazzo e fece loro strada, infilandosi nel piccolo androne sulla sinistra, ed infine su una stretta rampa di scale; Adrian accompagnò Hélène affondandole una mano didietro alla gonna, stringendola nel mezzo e sospingendola in su come se volesse trascinarla; quella ristette ed emise anche un piccolo gridolino, che chiaramente l’altro uomo poté udire in modo distinto. Giunsero al secondo piano, dove finalmente Jan aprì la porta di casa, dileguandosi dentro una stanza nei pressi della cucina.
La ragazzotta belga era inquieta e spaventata, temeva che i due uomini potessero farle del male: ma ci pensò immediatamente Adrian a tranquillizzarla, lasciandole subito intendere che cosa attendeva da lei. Le tolse il cappotto di dosso, e le intimò di disporsi in ginocchio sul divano voltata di spalle. Voleva fare in fretta.
Sulle prime Hélène rifiutò, rimanendo immobile e ferma sui piedi, con espressione persa; allora Adrian senza aggiungere nulla, afferrò la spalliera del divano e lo fece ruotare trascinandolo, sul pavimento di vecchie piastrelle scure, apparentemente senza alcuno sforzo, raschiando per terra. Hélène non si era mossa, ma il divano era adesso posto dinanzi a lei, a un passo dalle sue ginocchia; Adrian allora la spinse con delicatezza lungo la schiena, accomodandola così com’egli desiderava: poi si mosse verso un mobiletto posto di lato, ed afferrato dal cassetto un telecomando, accese il televisore sulla parete di fronte; esattamente davanti agli occhi di Hélène, solamente due metri più in là.
Era un orribile film porno, già nel pieno del suo svolgimento, in cui una donna bionda non troppo magra e bella, veniva esplicitamente sistemata da un grosso uomo di colore: la ragazzotta lo riconobbe immediatamente, era lo stesso identico film, la sequenza di fotogrammi vista tantissimi anni addietro in casa di Pascal; una inspiegabile coincidenza per lei, come uno stranissimo cerchio che si chiudeva.
In quel momento Hélène sentì in modo vivido la vagina schiudersi, e tutto lo spazio vuoto nel mezzo ricolmo di umido, approcciarsi all’atto; si impersonava nella donna bionda del film, e provava brividi di autentico spasimo.
Dopo un’attesa interminabile, ella si voltò, ma di Adrian non vi era più in giro alcuna traccia; vide però l’ombra bassa e tozza dell’altro uomo dietro alla porta che la spiava, ed immediatamente ristette raggelata; ma con prudenza e intelligenza Hélène non disse né fece nulla, era una situazione davvero pericolosa quella in cui si era cacciata.
In quel momento il timore l’aveva soggiogata del tutto, e nonostante il film andasse avanti e adesso gli uomini di colore in azione fossero addirittura due, Hélène se ne stava fredda e terrorizzata, inginocchiata ferma sul divano come un automa insensibile.
Si voltò di nuovo, e Jan era sempre lì, immobile; ne poteva scorgere nitidamente l’ombra.
Non si mosse ancora una volta, e dopo un minuto o poco più, finalmente udì la porta del bagno che si apriva, ed il rumore dello scatto di un accendino. Adrian fu alle sue spalle, con i soli pantaloni della tuta indosso, e la sigaretta accesa in bocca.
Le mise le mani sulla gonna, all’altezza del sedere, senza affondargliele nel morbido; poi con decisione afferrò la stoffa e la trascinò su un poco alla volta, sollevandola. Hélène mugolava, non sapeva più cosa fare, ma di nuovo sentiva i liquidi ribollirle nel ventre. Presto la gonna finì interamente rivoltata attorno ai fianchi, e tutta la carne bianca delle cosce, strette nell’elastico penoso delle calze autoreggenti, ed i glutei molli e rigonfi, furono esposti dinanzi agli occhi del cuoco, e dell’altro suo amico che li stava spiando.
Adrian a quel punto le affondò ambedue le mani nella carne pallida, ed esclamò a gran voce: “Sono mie! …stasera queste due chiappone sono mie !!!”, e si mise a ridere, mentre gliele massaggiava da dietro, scuotendola per bene.
Hélène fu nuovamente bagnata del tutto, mentre il film adesso indulgeva in riprese quasi degne di un documentario di anatomia, con dettagli fin troppo accurati della donna e dei due aguzzini di colore che la stavano letteralmente devastando in tutti gli orifizi disponibili.
Nemmeno le abbassò le mutandine, ma afferrandole il filino in cima sul didietro, lo tirò a sé spostandolo leggermente di lato; Hélène sentì in quel momento la punta rotonda e tozza del pene di lui, che si insinuava in mezzo ai glutei, poco sotto il forellino dal basso. Ci mise un istante a realizzare con vero terrore, che quello sciagurato aveva la ferma intenzione di fare a lei, quello che uno dei due uomini di colore stava facendo in quel frangente alla malcapitata bionda del film.
Ebbe allora una reazione, e poggiando improvvisamente uno dei due piedi in terra, riuscì a respingere con la mano destra quel membro che la spingeva insistentemente tra le natiche.
Adrian reagì in modo molto violento, e le mollò uno scapaccione fortissimo, facendola subito ritornare nella posizione reclinata; dopodiché le afferrò con una mano il ginocchio, costringendola nuovamente con ambedue le gambe sul divano. Infine, con uno scatto improvviso, le abbassò le mutandine poco sotto l’elastico delle calze.
Hélène volse allora il capo verso di lui, in quell’istante aveva preso timidamente a piangere; l’ombra scura dell’altro uomo non si era mossa di un millimetro, e continuava a spiarli.
Adrian le disse in faccia: “È inutile che ti rifiuti bellezza … io stasera ho già deciso … ti faccio il culo”.
Hélène provò un brivido lungo la schiena e subito fu annichilita dal terrore; poi trovò per puro istinto, il coraggio di rispondere, nell’unico modo possibile per potersi salvare: “… ti devo confessare … anche se mi vergogno a dirtelo …”; “Che cosa?!?” ribatté il cuoco impaziente; “non … non sono andata in bagno stamattina …”. Quegli le mollò un altro scapaccione facendole veramente molto male, dopodiché urlò a gran voce: “Sei una troia!!! …e fai pure schifo!”, e le mise ambedue le mani attorno ai fianchi assestandola meglio sul divano. Dopodiché si abbassò del tutto i pantaloni della tuta e anche le mutande, che fino a quel momento aveva tenute scese a mezz’asta.
Cominciò a batterle il membro da sotto, contro la peluria nera abbondante, sentendo che Hélène era oramai pronta.
Le fu dentro dal basso, con un movimento rapido e preciso, infilzandola con decisione nella vagina tutta umida; Hélène ululò come una bambina, alzando leggermente il capo, dopodiché allungò gli avambracci, fino ad aggrapparsi con le mani alla spalliera del divano. Adrian fece un passetto in avanti e poté stringerla ancora meglio, ribaltandole la gonna lungo la schiena.
Prese a sbatterla come un sacco di patate, avanti e indietro, con la testa piegata in basso. Hélène provava invano a restare in posizione eretta, ma quelle fitte le arrivavano fin dentro alla nuca, costringendola sempre più contro lo schienale.
“Ti insegno io ad andare in bagno la mattina …” la redarguiva Adrian, mentre tenendola sempre più forte, poteva sentirla tremare tutta quanta, tra le cosce bagnate, completamente fradicie e calde; Hélène continuava ad ululare, quelle spinte le squassavano il ventre. Trovò la forza di voltare il capo una volta sola, e dietro all’avambraccio robusto e nerboruto di Adrian, oltre il petto forte e villoso di lui, poté scorgere nuovamente la sagoma di Jan, uscito direttamente allo scoperto, che si masturbava con la mano destra infilata dentro ai pantaloni.
Socchiuse gli occhi inumiditi, oramai non riusciva nemmeno più a provare vergogna. Il cuoco continuava a sbatterla come un oggetto inerte, e Hélène teneva a quel punto la testa piegata in basso, coi lunghi capelli neri che le ricadevano sui cuscini del divano. Un poco alla volta, il brivido divenne un’onda di piacere, che dal collo discese giù lungo la schiena, fino a raggiungerle i fianchi morbidi e abbondanti, dove le mani di Adrian la tenevano ferma saldamente.
Spalancò la bocca, tutte le resistenze erano crollate; si lasciò così sprofondare nel baratro in modo inaudito e doloroso, mugolando come una bestia: “Ooo-oooh … ooo…”.
Adrian se ne rese conto, dalla scossa di bagnato che improvvisamente lo invase attorno alla carne dura e irta del pene. Volle allora completare l’opera, e prendendola per i capelli le liberò la vagina, costringendola infine a voltarsi, con una gamba distesa in giù e l’altro ginocchio sempre piegato sul divano, e lo slip avvolto di sopra. La tirò a sé, facendola infine discendere in maniera alquanto goffa, e trascinandosela dietro come un animale al guinzaglio, sempre costringendola per i lunghi capelli neri, fino a farle davvero molto male.
Infine, si sedette su una sedia vicino al divano, e tirandola ancora, la fece inginocchiare in mezzo alle sue gambe; lì le prese la nuca costringendola così ad accogliere tra le labbra il suo membro, duro come una severa mazza di legno.
Hélène non reagì e non disse nulla, ma era tremendamente spaventata; si ritrovò quell’oggetto viscido e puzzolente infilato nella bocca, non riusciva nemmeno ad urlare né sapeva come fare per liberarsi: sentì unicamente la mano forte di Adrian che la prendeva nuovamente sopra alla nuca, spingendola in giù. Finì soffocata da un’onda di liquido bollente, dentro alla gola, in un incubo di improvviso, autentico ed indicibile schifo.
Adrian continuava a eiacularle dentro, senza soluzione di continuità, tenendola ferma con ambedue le mani sopra alla testa. Quando la liberò, Hélène era già annichilita in terra, disposta a quattro zampe come un cane, con la gonna sempre rigirata attorno ai fianchi, le mutandine scese, e le calze autoreggenti leggermente scomposte.
Lo vide ripulirsi dal basso verso l’alto, pochi centimetri sopra di lei, con fretta e aria di dileggio; poi la prese una volta ancora per i capelli, e sospingendola con davvero poco garbo, la costrinse giù, fino a farla coricare con la pancia lungo il pavimento, e le gambe leggermente piegate.
Le disse sorridendo: “Questa volta te la sei cavata con un pompino troia che non sei altro … ma la prossima volta io ti spacco il culo… come meriti”.
La povera sciagurata si mise a dormire sul divano, senza potersi nemmeno cambiare; fu lasciata lì senza che nessuno le dicesse nulla, né Adrian e né tantomeno Jan, che nel frattempo era completamente sparito.
Dopo alcune ore, Hélène aprì gli occhi in uno stato di totale confusione e di disagio; la lezione delle nove del mattino, non avrebbe certamente potuto seguirla, ma ciò che di più la spaventava, era il fatto di non avere assolutamente alcuna idea, di come fare per ritornarsene a casa.
Jan si affacciò nella sua stanza, trovandola in piedi, ancora stravolta e completamente spettinata. Per la prima volta Hélène poté udire la sua voce, era balbuziente e probabilmente non del tutto sano di mente. Le disse che poteva prendere un autobus fino alla metropolitana, e che Adrian era dovuto uscire per alcune faccende private.
La ragazzotta belga chiese il permesso per poter fare una doccia, ma l’acqua calda era già completamente finita; si raccolse allora i capelli in una coda di cavallo, erano le sette e mezza del mattino, e facendosi infinitamente coraggio, si incamminò a piedi fino alla stazione della metropolitana; proprio mentre il sole iniziava debolmente a illuminare, l’alta cima degli orribili palazzoni popolari di zona.
Non fu nemmeno necessario dover attendere che le due coinquiline uscissero, per poter rientrare nella sua dimora perfettamente sola e del tutto indisturbata: arrivò alla Stazione Tiburtina dopo più di mezz’ora, e quando infine giunse a casa, la trovò già completamente vuota e silenziosa.


Trentaseiesimo episodio

L’Università era diventata un ostacolo quasi impossibile da sormontare, pensava Hélène quella mattina, mentre con immane fatica provava a leggere alcuni appunti di almeno due settimane addietro. Ad un certo punto prese il telefono, e si rese conto che la madre l’aveva provata a chiamare per almeno tre volte la sera prima.
Provò un senso di grande urgenza e di preoccupazione, e allora sedutasi sul letto, dopo un lungo sospiro decise di richiamarla, temendo che quella potesse essersi piuttosto adirata, per il fatto che Hélène non le avesse risposto.
La madre era al lavoro, e non poteva parlarle in modo chiaro ed esplicito.
Ma ad un certo punto le disse, cambiando repentinamente il tono della sua voce: “Ho appreso con piacere alcuni giorni fa… da Bianca… che adesso abiti in un bell’appartamento, con altre due brave stupidone come te, e tanti altri ragazzi con molta voglia di divertirsi che vi ronzano attorno … non è così Hélène ?!?”.
Quest’ultima tacque, ma avvertì chiaramente quella netta sensazione, che non provava da tempo, di autentico timore e di minaccia. La madre allora riprese: “Non mi hai detto nulla e non immagino nemmeno come tu possa permettertelo … non mi interessa, ma io so solamente una cosa …”, e concluse: “Quando vieni qui, preparati perché a me tu le bugie non le dici … hai capito stupida?!?”.
Hélène attaccò il telefono e adesso aveva una sola certezza: non appena avesse rimesso piede nella sua casa a Liegi, il benvenuto sarebbe stato una volta ancora, non privo di dolorose conseguenze; la madre non la dava infatti certo ad intendere, era sempre severissima con lei quando serviva.
Eppure, quella mattina Hélène aveva preso stranamente a ripensare a casa, come se in cuor suo ella desiderasse finalmente di potervi ritornare; era diventata una donna, non aveva più alcun timore del sesso, avendolo provato in maniera pura e verace, fino al punto di trarne uno squassante piacere. Sentiva come se la sua missione si fosse finalmente compiuta, quasi come se tutta quella lunga e sciagurata avventura, fosse servita unicamente a farle perdere una volta per tutte, la sua verginità.
Adrian era davvero un uomo rozzo e ignorante; in ben due occasioni quello l’aveva abusata, ma era oramai evidente come non desiderasse avere con Hélène alcuna relazione stabile, quanto piuttosto di poterla sfruttare e sbatacchiare come una bambolotta, come meglio egli credeva. Non l’aveva chiamata neppure quel giorno, ed era altrettanto evidente come non provasse alcun trasporto né alcun sentimento nei suoi confronti; Hélène iniziò a pensare tra sé e sé, di doverlo presto dimenticare.
Così si risvegliò la mattina del martedì ben intenzionata a dedicarsi allo studio e all’Università, ed a lasciarsi quella sua vicenda così torbida ed amaramente insignificante, ben presto alle sue spalle.
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